Nel 2009 è iniziata la missione del telescopio spaziale Keplero, lanciato dalla Nasa alla ricerca di pianeti simili alla nostra terra: pianeti rocciosi che orbitano attorno a stelle della Via Lattea, nella zona "abitabile" (non troppo vicino ma neanche troppo lontano) che possano avere acqua allo stato liquido, condizione favorevole allo sviluppo della vita, come la nostra terra.
In effetti la terra è l'unico pianeta del Sistema Solare in cui sia presente la vita, essa infatti si trova alla "giusta" distanza dal Sole (150 milioni di km): più vicino sarebbe troppo caldo come Venere, più lontano diventa troppo freddo come Marte o i pianeti esterni, Giove, Saturno...
Nella nostra galassia, la Via Lattea, ci sono almeno 100 miliardi di stelle, alcune più piccole, altre più grandi del Sole, e ognuna di esse potrebbe avere un suo sistema planetario. La loro osservazione da terra però è resa difficoltosa dalla distanza. La stella a noi più vicina è Proxima Centauri e si trova a circa 4 anni luce, cioè per arrivare fino a noi la sua luce deve viaggiare per oltre 4 anni, e non è che vada piano (300 000 km al secondo!)
Al di fuori dell'atmosfera terrestre si riduce almeno il disturbo dovuto all'aria, ecco perché ci sono tanti telescopi spaziali a scandagliare lo spazio vicino e lontano. Compito di Kepler osservare le stelle in una regione ben precisa dello spazio e rilevare la presenza di "esopianeti" attraverso le variazioni nella luminosità della stella, dovute al passaggio di un pianeta.
Gli esopianeti trovati finora sono molti e, notizia di questi ultimi giorni, uno di questi sembra molto simile alla terra: si chiama Kepler 452b, ha dimensioni una volta e mezzo quelle della terra, ruota attorno ad una stella di poco più vecchia del sole e di dimensioni paragonabili, è nella zona abitabile e si trova quasi alla stessa distanza terra-sole. La cosa più sorprendente è che il periodo di rivoluzione è circa lo stesso della terra, quindi un anno su Kepler 452b dura quasi come uno sulla terra; perciò è stato ribattezzato pianeta gemello della terra. La distanza di 1400 anni luce non permette di sapere ancora se sia un pianeta roccioso, e se ci sia o ci sia stata qualche forma di vita.
mercoledì 29 luglio 2015
giovedì 23 luglio 2015
Numeri romani
La battuta della maestra di Bart (minuto 3:28)
sull’uso dei numeri romani per sapere l’anno di pubblicazione di un film nei
titoli di coda, non è certo l’unico uso che possiamo ricordare, infatti ancora
oggi sono utilizzati per numerare i capitoli dei libri, i singoli volumi, le
annate delle riviste, per le classi scolastiche, per indicare sovrani, papi e per
l’indicazione dei secoli. Contrariamente ai numeri arabi che si utilizzano
preferibilmente per la numerazione cardinale (uno, due, tre, etc. indicano la
quantità), i numeri romani si usano per la numerazione ordinale (primo,
secondo, terzo etc.) pertanto non vanno mai accompagnati dall’esponente “°”. Per
gli antichi romani non esisteva differenza tra i numeri ordinali e quelli
cardinali poiché il simbolo "I" significava "numero 1" e
anche "il primo".
Oggi il
sistema di numerazione che usiamo è quello decimale: usiamo infatti 10 simboli
(le cifre 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, e 0) per scrivere qualsiasi numero, e si
definisce sistema posizionale, cioè il valore di una cifra dipende dal
posizione che occupa: 82 indica 8 decine e 2 unità, mentre 28 indica 2 decine e
8 unità.
I simboli del sistema
di numerazione romano sono alcune delle lettere dell’antico alfabeto romano scritti
in maiuscolo:
I indica 1, V
indica 5, X indica 10, L indica 50, C indica 100, D indica 500 e M indica 1000.
Esso è un
sistema numerico additivo: XI corrisponde all’11. Questo perché al valore 10
del simbolo X si somma il valore 1 del simbolo I. LXVI corrisponde a 50 + 10 +
5 + 1 = 66
In alcuni
casi, i valori dei simboli non si sommano ma si sottraggono come IV è come fare
5 – 1 cioè 4.
Le regole di composizione
dei numeri romani:
- All’interno di un numero romano, i simboli I, X, C e M possono essere ripetuti per un massimo di tre volte.
- I simboli V, L e D non possono mai essere inseriti più di una volta all’interno di un numero romano.
- Una sequenza di simboli romani che presenta valori decrescenti indica un numero ottenuto sommando i valori dei singoli simboli. Per esempio: III indica 3, XII indica 12, XVI indica 16, MMDCLXVI indica 2666.
- Se un simbolo è seguito da un altro di valore maggiore, il risultato è un numero romano che è la differenza tra i valori dei due simboli. Per esempio: il numero romano IV indica 4, IX indica 9, XL indica 40, XC indica 90, CD indica 400, CM indica 900.
- Solo i simboli romani I, X e C possono essere adoperati per fare sottrazioni nelle stringhe e possono essere sottratti soltanto una volta nella composizione di un numero romano.
Curiosità
Il sistema di numerazione romano attualmente più
conosciuto è quello con le varianti introdotte nel Medioevo. In effetti, i
numeri usati nell’antica Roma presentavano qualche regola di composizione
differente: il numero 4 si scriveva IIII
ma era scomodo in quanto oltre 3 segni uguali il cervello va in confusione
percettiva.
Rispettando le regole sulla composizione dei numeri
romani, il numero romano più grande che si riesce a scrivere è MMMCMXCIX, cioè 3999. Ecco perché gli
antichi Romani hanno dovuto introdurre uno stratagemma per poter scrivere i
numeri dal 4000 in avanti: le linee orizzontali e verticali. numeri romani da 1 a 5000
Gli antichi Romani non avevano un simbolo per
designare lo zero, poiché non possedevano il concetto di zero come numero.
Inoltre, non conoscevano i numeri relativi, quindi non esistono numeri romani
che rappresentino quantità negative. Non esistono numeri romani nemmeno per
rappresentare i numeri decimali e le frazioni.
Il sistema non era affatto comodo neanche per svolgere
le operazioni più semplici, gli antichi romani per fare anche addizioni o
sottrazioni usavano uno strumento: l’abaco.
Venerdì 17 è una superstizione tutta italiana non
riscontrabile altrove. Nel mondo infatti sono altre le date e i numeri sfortunati
(nei paesi anglosassoni si parla di "venerdì 13"). Nel sistema di
numerazione romano al numero 17 corrispondente XVII; sulle tombe dei defunti dell'antica Roma era comune la
scritta "VIXI" (cioè
"ho vissuto", quindi sono morto), che è l’anagramma del numero
(diversa disposizione delle lettere).
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